Modificato il: 15/07/2024
OGGI È POSSIBILE GARANTIRE UN ALTO LIVELLO DI QUALITÀ E PUREZZA DEL PRODOTTO ESTRATTO SENZA RICORRERE AI CLASSICI SOLVENTI ORGANICI, CHE SONO TOSSICI PER L’UOMO E PER L’AMBIENTE.
Grazie ai presunti effetti salutari e a una legislazione favorevole, negli ultimi anni è cresciuta esponenzialmente la domanda di prodotti a base di cannabis CBD.
Fra i derivati della cannabis, l’olio di CBD è uno di quelli più apprezzati dai consumatori di tutto il mondo per la sua versatilità e praticità.
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Oltre che per via orale, attraverso l’assunzione di gocce, esso può essere utilizzato anche per uso topico e quindi applicato direttamente sulla pelle.
Inoltre, l’olio di CBD è disponibile in diverse tipologie (a seconda della composizione e della tecnica di estrazione) e con differenti concentrazioni del principio attivo.
In questo articolo ci soffermiamo sui principali metodi di estrazione dei cannabinoidi dalle piante di Cannabis e sui loro vantaggi e svantaggi. Ogni tecnica ha infatti le sue caratteristiche e alcune sono più efficaci di altre.
Vediamo di seguito le tre principali.
Olio di CBD: cannabidiolo ricavato da estrazione con etanolo
Questo metodo di estrazione prevede l’utilizzo di etanolo o alcol etilico per estrarre cannabinoidi e altre molecole dai fiori della cannabis e della canapa.
La pianta viene immersa nell’etanolo per qualche giorno fino ad assorbirlo e poi la miscela risultante (l’etanolo arricchito di CBD) viene filtrata attraverso distillazione (separazione attraverso ebollizione). Una volta estratta la molecola desiderata, dunque, il solvente viene fatto evaporare e quel che resta al termine di questo processo è l’estratto di CBD.
- I vantaggi di questa tecnica di estrazione sono l’economicità e la facilità di produzione. Non a caso questa tecnica è apprezzata da molti produttori amatoriali che usano la cucina di casa come proprio laboratorio.
- I svantaggi, invece, derivano dal fatto che il prodotto finale potrebbe contenere tracce di residui chimici se il processo di evaporazione non viene effettuato correttamente e, più in generale, dalla scarsa sicurezza di questa tecnica; come è facilmente intuibile, il fatto che l’alcol è altamente infiammabile, rende l’operazione per estrarre il CBD molto rischiosa.
Leggi anche: Estrazione cannabinoidi: qual è il metodo migliore per estrarre il CBD?
Olio di CBD: cannabidiolo ricavato da estrazione con oli vegetali (per uso alimentare)
Questo metodo prevede l’utilizzo di oli vegetali naturali, come olio di semi di canapa, olio di oliva e olio di cocco. Poiché questi oli contengono molecole lipofile, cioè molecole che si sciolgono facilmente nei grassi contenuti nel cibo, risultano piuttosto efficaci nell’estrazione dei cannabinoidi dalla pianta.
La pianta viene immersa nell’olio e il composto risultante viene riscaldato. In questo modo i cannabinoidi della pianta, compreso il CBD, si legano all’olio e danno vita a una miscela. Una volta raffreddata l’infusione e ottenuta l’estrazione del Cannabidiolo (che nel frattempo si è legato all’olio) è possibile rimuovere il materiale vegetale.
Questa tecnica è particolarmente apprezzata, perché basata su un processo naturale e perché elimina ogni possibilità di residui nocivi, anzi arricchendo la miscela con sostanze nutritive aggiuntive.
Tuttavia, proprio perché meno aggressiva rispetto all’estrazione con solventi, questa tecnica impiega più tempo per isolare i cannabinoidi e e terpeni. Inoltre, i prodotti ricavati attraverso questo tipo di estrazione devono essere conservati in modo adeguato, così da mantenerne intatte le proprietà nutritive.
Gli svantaggi più evidenti sono la scarsa resa, dato che il prodotto finale presenta bassi contenuti di CBD, e la qualità, poiché non viene garantita la sua purezza.
Olio di CBD: cannabidiolo ricavato da estrazione con CO₂ supercritica
Nell’estrazione con CO₂ (diossido di carbonio, più noto come anidride carbonica) l’isolamento di cannabinoidi, terpeni e altre molecole della pianta di cannabis viene effettuato utilizzando l’anidride carbonica allo stato supercritico.
Il principio attivo da isolare viene sottoposto ad alta pressione grazie all’anidride carbonica che viene portata al punto critico, a partire dal quale le fasi liquida e gassosa diventano indistinguibili. In tal modo, da un lato lo stato gassoso della CO₂ filtra il CBD dalla pianta, dall’altro lo stato liquido permette di dissolvere i componenti residui.
L’estrazione con CO₂ è la tecnica più sofisticata e anche quella maggiormente impiegata a livello industriale, perché è l’unica in grado di assicurare che al termine del processo non rimanga alcun residuo tossico o sostanza chimica.
La CO2 è, infatti, inerte e priva di tossicità e, quindi, non ha un impatto sull’ambiente.
In sostanza, l’estrazione supercritica costituisce una più che valida alternativa rispetto ai sistemi classici di separazione, perché garantisce un alto grado di qualità e purezza del prodotto estratto.
Di contro, portare a termine questo processo è molto dispendioso. Chiaramente, questa tecnica può essere eseguita solo all’interno di laboratori specializzati.
Leggi anche: Cannabinoide CBG: proprietà, effetti e dove trovarlo
Qual è il miglior metodo di estrazione del CBD?
Quali valutazioni dare su caratteristiche ed efficacia delle tecniche qui illustrate?
In generale, l’estrazione con CO₂ sembrerebbe essere la tecnica migliore, quanto a risultati prodotti: la capacità di questo metodo di estrarre il principio attivo senza lasciare residui tossici assicura un alto livello di qualità e purezza del prodotto estratto.
In particolare, la scelta sulla tecnica di estrazione è condizionata dall’utilizzo che si farà del principio attivo ricavato. Così, se ad esempio, il CBD deve essere impiegato come ingrediente nella preparazione di prodotti alimentari o cosmetici, si dovranno evitare metodi che possono portare alla presenza di sostanze nocive nel prodotto finale.
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